Le rotture sono un percorso pieno di alti e bassi. Quando ci si separa da qualcuno, inizia una nuova fase in cui, di solito, tutto cambia: il proprio stile di vita, le proprie abitudini e, soprattutto, il proprio mondo emotivo. Ogni persona vive questo processo in modo diverso: con dolore, senza dolore, con rabbia o con tristezza. Ma, alla fine, tutte queste emozioni fanno parte della stessa esperienza: imparare a vivere senza l’altra persona e rifarsi una vita in assenza di qualcuno che prima era presente e faceva parte dei tuoi piani.
Un amore che merita una seconda possibilità non si basa solo sul desiderio che torni, ma sul reale impegno di entrambe le persone a fare qualcosa di diverso
Il vuoto lasciato da chi se ne va può essere difficile da colmare e, in alcuni casi, rimane per sempre. Fa male, sì, ma ogni giorno è anche un’opportunità per decidere cosa fare con quel dolore. La cosa più sana da fare è spesso trasformarlo. Tuttavia, a volte, nel mezzo di questo processo, sorge una domanda inevitabile: e se tornassi con il mio ex?
I dubbi si moltiplicano e quella che potrebbe sembrare una seconda opportunità può anche trasformarsi nel rischio di riaprire una ferita che stava cominciando a cicatrizzarsi. Per questo è fondamentale ricordare i motivi per cui la relazione non ha funzionato in passato e chiedersi onestamente: è davvero cambiato qualcosa? Solo così si può prendere una decisione consapevole.
Per chi si trova in questa situazione, Miriam Ferrer, psicoterapeuta di coppia, condivide su La Vanguardia le chiavi per rispondere alla grande domanda: tornare o non tornare? Come distinguere se si sta idealizzando il proprio ex o se c’è davvero qualcosa da recuperare?
Dopo una rottura, perché si tende a ricordare solo le cose belle e a dimenticare quelle che non funzionavano?
Perché la mente è selettiva, e lo è ancora di più quando sono coinvolte le emozioni. Questo fenomeno è chiamato memoria emotiva selettiva: un meccanismo che ci protegge dal dolore ricordandoci ciò che ci faceva stare bene.
Idealizziamo i momenti felici, i gesti teneri, le risate condivise… e tralasciamo i silenzi dolorosi, le discussioni irrisolte o la sensazione di solitudine in compagnia. Durante la seduta, quando ripercorriamo la relazione, di solito c’è un momento chiave: quando la persona si rende conto di tutto ciò che ha taciuto, sopportato, giustificato. E anche questo faceva parte della storia.
Quali sono i segnali più evidenti che si sta idealizzando un ex partner?
Uno dei più evidenti è quando giustifichiamo l’ingiustificabile. Frasi come “sì, ma quando voleva era molto dolce” o “aveva delle qualità positive, anche se non mi apprezzava” rivelano che non stiamo ricordando com’era, ma come volevamo che fosse.
In terapia, lo chiamiamo attaccamento al potenziale: non eri legato a chi avevi realmente davanti, ma all’immagine di ciò che speravi diventasse. È anche un chiaro segnale quando minimizziamo ciò che ci ha ferito o confrontiamo tutte le nostre relazioni future con quella persona, anche sapendo che quella storia ci ha fatto del male.
L’idealizzazione appare come una difesa: ricordiamo le cose belle per attenuare il dolore, ma così facendo perdiamo la prospettiva e ci agganciamo nuovamente a ciò che in realtà ci ha spezzato il cuore.
Come si può distinguere tra un amore che merita una seconda possibilità e uno che fa solo male a ricordare?
La differenza sta nell’onestà emotiva con se stessi. Un amore che merita una seconda possibilità non si basa solo sul desiderio che torni, ma sul reale impegno di entrambe le persone a fare qualcosa di diverso. Se pensando a quella relazione provi più ansia che calma, più dubbi che certezze, più nostalgia che fiducia, probabilmente non è amore, è attaccamento.
Se ciò che ti spinge a tornare è la paura di stare da solo o la speranza che ora le cose cambino, non è il momento giusto. Un legame che vale la pena recuperare ti spinge verso il presente, non ti rinchiude nel passato. Durante la consulenza esaminiamo i motivi: vuoi tornare con quella persona o con l’idea che avevi di lei?
Quali domande dovrebbe porsi una persona prima di proporre una riconciliazione?
Prima di pensare di tornare, è importante fermarsi e ascoltarsi con onestà. Non dal desiderio, ma dalla verità di ciò che si è vissuto. Torneresti perché c’è davvero qualcosa di nuovo… o perché ti manca ciò che era (o ciò che immaginavi potesse essere)?
Una riconciliazione ha senso se ci sono stati cambiamenti reali, non promesse vuote o speranza cieca. Alcune domande che possono aiutarti:
– Cosa mi spinge a voler tornare? La solitudine, la paura… o una libera scelta? – Sto vedendo la persona per quella che è, o sono ancora attaccato a ciò che volevo che fosse? – Sono fiducioso che questa volta potremmo prenderci cura l’uno dell’altro in modo migliore, o continuo ad avere dei dubbi? – Sono disposto a porre dei limiti e a non ripetere la stessa dinamica?
È consigliabile tornare quando c’è molto amore ma anche molte ferite irrisolte?
L’amore non sempre è sufficiente. A volte c’è amore, sì, ma c’è anche dolore, ferite non rimarginate e una dinamica che si ripete e logora. Tornare senza aver guarito ciò che ha fatto male è come tornare nella stessa casa con le infiltrazioni ancora intatte.
Nella nostra attività vediamo spesso persone che si amano, ma che non sanno prendersi cura l’una dell’altra. E senza cura reciproca, l’amore diventa confuso, persino estenuante. Se ci sono ferite profonde e non è stato fatto un lavoro individuale e congiunto per guarirle, tornare può significare riaprire la stessa ferita più e più volte. A volte la cosa più amorevole che si possa fare è non tornare.
Quali sono i rischi emotivi nel tentativo di recuperare una relazione che è già finita?
Il rischio principale è quello di ripetere il ciclo. Tornare senza aver capito cosa si è rotto e perché, significa riaprire la stessa ferita. Si può anche riattivare la dipendenza emotiva, la paura di stare da soli o l’idea che senza quella persona non si possa affrontare la vita. E questo logora profondamente.
Quando torni per necessità e non per consapevolezza, è facile perdersi di nuovo nella stessa dinamica. Spesso si idealizza il ricongiungimento come una soluzione magica. Ma se le basi continuano a essere compromesse, il ritorno porta spesso più dolore che sollievo. Non si tratta di non provarci mai, ma di chiedersi da dove si vuole tornare: dalla mancanza o dalla chiarezza?
È possibile ricostruire da zero una relazione che è fallita, o rimane sempre “la frattura”?
Non è “da zero”, perché ciò che si è vissuto lascia il segno. Ma si può ricostruire da un altro punto. È necessaria una vera trasformazione: riconoscere gli errori, assumersi la responsabilità di ciò che ciascuno non ha saputo fare al meglio e, soprattutto, impegnarsi a creare una nuova relazione con basi diverse.
Le fratture esistono, certo. Ma alcune, se affrontate con amore e responsabilità, non dividono: rafforzano. Lo vediamo in terapia: chi ha intrapreso un processo profondo può ritrovarsi e costruire qualcosa di più consapevole. Ma non è facile, né veloce. E non è sempre possibile, è vero.
Che ruolo giocano il tempo e il lavoro individuale prima di valutare se tornare sia una buona idea?
Il tempo di per sé non cura tutto. Ciò che guarisce è ciò che fai con quel tempo. Allontanarti ti dà una prospettiva. E quando quel tempo viene sfruttato per guardarti con onestà, per lavorare sui tuoi schemi, sulle tue paure, sulla tua parte responsabile… allora sì, potresti trovarti in una posizione emotiva diversa.
Quindi, quando fai questo lavoro interiore, non torni per necessità, ma per scelta. E a volte, dopo il processo, non vuoi più tornare. Vuoi qualcosa di diverso. Anche con te stesso.